Cari nipoti, continuerete per tantissimi anni della vostra vita a incontrare questa data.
Non è facile raccontarvi quello che significa per me, perché, quelli che vi diranno che è divisiva, si dimenticano di aggiungere che prima di tutto divide le coscienze. Chi, come me, non ha vissuto in prima persona il periodo fascista e la guerra, compresa quella civile, deve la propria memoria ai racconti dei padri e dei nonni.
I miei erano antifascisti, così li ho percepiti da ragazzo, c’erano i racconti delle “squadracce” che avevano purgato il marito di Natalina, quelli di mio padre che si nascondeva nel forno per non farsi prendere e spedire a Salò, delle spiate che i fascisti del luogo facevano ai tedeschi, la “buca” in cantina dove andava a nascondersi, il racconto della donna impazzita assistendo alle torture inflitte da nazi-fascisti ai martiri di Jesi.
I ricordi erano vivi, le persone erano vive.
Con il passar del tempo ho conosciuto tanti “ex figli della lupa”, tirati su al grido di “credere obbedire combattere”. Nei loro occhi ho visto un lampo di orgoglio per aver vissuto quell’epoca, solo dopo ho scoperto che era semplice nostalgia per gli anni, ormai passati, della loro giovinezza. Poi ho conosciuto, sempre in questa nostra piccola comunità, i “riciclati”, quelli che da fascisti avevano cambiato pelle e diventati “democristiani”, passando da cinturone e camicia nera, all’abito buono. Ho conosciuto i rancorosi, piccoli uomini ai quali il fascismo aveva regalato una “posizione sociale” che non avrebbero mai raggiunto senza la prepotenza del regime. Quelli alla “Gabriele D’Annunzio”, che col fascismo vedevano realizzato il loro desiderio di avventura. Non ho visto negli anni postbellici, né rancore, né livore né volontà di vendetta nei confronti di nessuno di questi ex. Con tanti ho scambiato idee, chiacchiere, ricordi. Finita la guerra ha vinto il carattere mite della nostra gente.
In maniera molto diversa ho percepito, il periodo della resistenza.
La repubblica di Salò era lontana, il fronte stava attraversando il paesello senza fare grossi danni, notizie di stragi nei comuni intorno, di famiglie bruciate vive dai tedeschi perché aiutavano i partigiani, morti che parlavano con voci lontane. Solo andando a scuola a Jesi ho capito che non dappertutto la pacificazione era stata così facile.
Poi, dopo un’infinità di letture, mi sono costruito un mio personale concetto su cosa significasse la parola “resistenza” . In estrema sintesi vorrei farvi capire due aspetti; quello storico, dove a seconda di chi scrive, la resistenza assume un peso ed una dignità diversa, e questo lo valuterete da soli, l’altro è quello “FONDATIVO”. Su questo non si scherza, non esiste revisionismo che tenga, è il pilastro su cui poggia la Repubblica, questo non è trattabile. Non importa quanti continueranno a parlare dei mitici tempi di Mussolini, quanti racconteranno dei misfatti dei partigiani, quanti parleranno del mito della resistenza in maniera negativa. Andrete a votare secondo le vostre idee, voterete per la sinistra o la destra, sarete moderati o radicali, ma non dimenticate mai quelli che vi hanno permesso questa libertà di scelta. E’ questo principio che si festeggia il 25 aprile, è fuso all’interno della bandiera italiana. Capirete leggendo e studiando, quanto questo abbia contribuito a non farci cadere tra le braccia di altre dittature.
Giorgio Pisanò disse a Vittorio Foa: ‘Ci siamo combattuti da fronti contrapposti, ognuno con onore, possiamo darci la mano’. Foa gli rispose: ‘E’ vero abbiamo vinto noi e tu sei potuto diventare senatore, avessi vinto tu io sarei ancora in carcere’.
Ciao monelli.