Il dramma di Meloni

Per chi crede ancora nelle ragioni della buona politica, il Riformista fa un regalo prezioso: le riflessioni di uno degli ultimi “Grandi vecchi” della politica italiana: il senatore Rino Formica.

In molti hanno parlato e scritto di quelle del 25 settembre come di elezioni “storiche”. Lei che la storia politica italiana l’ha vissuta per decenni da protagonista, come la vede?
In questo Paese diventa storico il suono della sveglia. Quel voto è una sveglia. Il Paese era nell’area della tranquillità, della serenità. Nella politica italiana vi sono due periodi fondamentali: uno fino al ’92 e poi quello dal ’92-’94 e seguenti. Sino al ’92 questa tranquillità di fondo veniva data da un forte rapporto fiduciario tra il cittadino e la democrazia organizzata. Era quasi un rapporto di carattere religioso. È come la fede nella religione. Anche la religione ha un problema di rapporto tra fede e ragione. Nella fase di sviluppo naturale della democrazia in Italia, nei primi 40-50 anni di vita repubblicana, essa era in parte legata alla ragione delle classi dirigenti e in parte alla fede di massa. Il legame tra fede di massa e ragione delle classi dirigenti portava ad una sintesi tra fede e ragione. Questo si è rotto all’inizio degli anni ’90.

Perché senatore Formica?
Perché è venuto meno il sistema di rete della democrazia organizzata. Questa mancanza di rete della democrazia organizzata è stata interpretata dalle classi dirigenti, che si sono immediatamente adeguate al nuovo corso dimostrando così tutta la natura profonda dell’opportunismo e del trasformismo di cui erano intrise ma che era coperto da una condizione che era propria della democrazia organizzata, e così abbiamo avuto un progressivo distacco tra masse popolari e non solo la democrazia organizzata nell’interno del sistema ma un distacco con le istituzioni. Questo distacco dalle istituzioni non modificava le condizioni di diseguaglianza di carattere economico, sociale, civile e territoriale del Paese. Quelle restavano tutte in piedi e questo in un mondo che stava cambiando con la globalizzazione. E la globalizzazione portava a un nuovo e diverso livello le conoscenze di massa in sede globale. L’elemento della coscienza per via di conoscenze da parte delle masse nel mondo, non aveva però un elemento coagulante e unificante su scala globale. Perché su scala globale restava unificante la forza impetuosa del capitalismo che sganciato dai compromessi nazionali diventava sempre di più una forza di un imperial capitalismo. Questo imperial capitalismo era sbilanciato. Perché da una parte era l’imperial capitalismo tutelato da minoranze detentrici del potere dell’ineguaglianza nella società e dall’altra parte vi erano le grandi masse che prendevano coscienza che non era sufficiente la presenza ma il protagonismo per cambiare le condizioni andando al cuore del capitalismo imperiale. Tutto questo poneva un problema…

Quale?
Il problema che quello che era stato detto e gabellato e cioè che la società evolvendo, il progresso di carattere economico e la diffusione del benessere nel mondo sia pure in parti ineguali, spegneva la lotta di classe. La lotta di classe c’è. Sicuramente è più complicato poterla interpretare e poterla guidare perché le classi non sono più regolabili in un conflitto sociale su base nazionale ma su base universale dove le lotte di classe sono differenziate, ineguali e diverse tra di loro. E qui nasce il problema.

Di che problema si tratta?
Se si osserva bene, si coglie il fatto che le uniche forze che hanno un elemento di unificazione a livello sovranazionale sono le grandi religioni. Le grandi religioni hanno percepito questo elemento di inquietudine generale. Il mondo è inquieto. Cosa vuol significare il Papa quando dice che bisogna cambiare il modello di sviluppo? Questo era il linguaggio che negli anni ’70 era degli extraparlamentari. Cambiare il modello di sviluppo. Cioè si pone il problema della inadeguatezza dell’imperial capitalismo. Ma le religioni non sono in condizioni di condurre una lotta politica perché per condurre una lotta politica le religioni devono perdere il loro carattere universale e diventare nazionali. Come lo è diventata improvvisamente la Chiesa ortodossa russa che ha dovuto perdere il carattere universale e ha dovuto affermare, per diventare nazionale, che c’è una sanatoria dei peccati se vai a combattere in Ucraina. Resta il fatto, enorme, che le religioni universali pongono il problema non solo dell’inadeguatezza ma della ingiustizia intrinseca, strutturale, di quei processi politici, economici e sociali che non soltanto non hanno attenuato le condizioni dell’ineguaglianza ma che hanno esasperato le vecchie ineguaglianze e creato delle nuove. Qui sta la crisi della politica e delle sue forme organizzate. Il non essere all’altezza di questa sfida del cambiamento globale e globalizzato. D’altro canto la storia del Novecento sta lì a ricordare che il capitalismo quando si è trovato in difficoltà è diventato repressivo e guerrafondaio. E questo può accadere anche con l’imperial capitalismo che, messo alle strette o comunque in difficoltà, trova la soluzione della guerra. Noi ci troviamo di fronte al rischio che la riflessione di carattere politico generale della nuova globalizzazione delle conoscenze, che potrebbe spingere l’umanità a creare delle forze internazionaliste di organizzazione delle condizioni umane differenziate che ci sono nella società, i deboli con i deboli contro i forti che sono una minoranza non solo nelle realtà nazionali ma sempre più minoranze nell’assetto globale, si possa bloccare questo processo di riflessione attraverso una espansione del conflitto oggi in Europa e domani chissà dove.

Quelle che lei ha fin qui sviluppato sono riflessioni di portata epocale. Ma venendo alla politica italiana, lei non ritiene che una sinistra o comunque una forza progressista, il Pd, per provare a ritrovare ragione di sé proprio su queste grandi tematiche dovrebbe cimentarsi e non avvitarsi nella spirale mortifera di una resa dei conti sul nuovo segretario?
Ma porta su di sé il peso enorme di trent’anni in cui ha sposato la linea dello svuotamento del sistema politico. La sinistra è stata artefice dello svuotamento politico del sistema. E qui sta il suicidio politico. Perché lo svuotamento politico del sistema colpiva innanzitutto la sinistra.

Perché, senatore Formica?
Vede, i conservatori hanno una politica oggettiva che cammina da sé. Conservare l’esistente. A sinistra la politica è intrecciata indissolubilmente al cambiamento. E quando questa politica viene meno all’interno del sistema, viene meno l’esigenza del cambiamento e con essa la sinistra stessa. Ciò che ci si dovrebbe chiedere, l’interrogativo attorno al quale provare a sviluppare una riflessione collettiva dalla quale dipende l’esistenza stessa futura della sinistra, è perché la sinistra è andata progressivamente perdendo consenso, entusiasmo, passione, capacità di essere forza creativa nella società, capace di modificare, di innovare, di riformare. Perché?

Una domanda “esistenziale”. Qual è la sua di risposta?
Perché si è lasciata guidare dalla destra. Il minimalismo sociale è una scelta ideologica. Il minimalismo sociale non può non produrre che il populismo massimalista. L’indifferenza istituzionale non può non provocare che l’abbandono della via democratica alla costruzione del proprio sistema di vita e all’ingresso di forze dominanti che finiscono per diventare prima reazionarie e poi repressive. Ecco perché hanno ragione coloro che dicono che la responsabilità non è del gruppo dirigente in carica nel momento dell’ultima clamorosa sconfitta della sinistra. La responsabilità è di tutta quanta la classe dirigente, il ceto politico dominante della sinistra da trent’anni a questa parte, accumulando una serie impressionante di errori. Alcuni dei quali sono partiti non con la consapevolezza dell’errore ma come una furbizia per mimetizzare la propria determinazione di rovesciare il tavolo senza che nessuno se ne accorgesse, spacciando una presunta furbizia per machiavellica capacità tattica. Ma alla fine la legge bronzea della quotidianità del vivere ha fatto sì che il trasformismo delle classi dirigenti sia diventato un trasformismo per adeguamento e per rassegnazione delle masse popolari. Ma di questo non possono godere neanche i vincitori di queste elezioni, cioè Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni. Vuol sapere qual è il vero dramma della Meloni?

Sono tutto orecchie, senatore Formica.
Lei avrebbe avuto tanto, ed era attrezzata per poterlo fare, un gran desiderio di poter essere l’Evita Peron della socialità di massa populista in Italia. Ma sarà condannata dalla forza delle cose ad essere una burbera Thatcher senza neanche avere l’autonomia della guida. Perché la guida spetta ad altri. Su sede sovranazionale. Ne vuole la prova?

Certo che sì.
Questa maggioranza si riunirà il 13 ottobre. Con la maggioranza che ha, con il tempo che ha avuto per ristabilire l’ordine al proprio interno, per avere la certezza di una maggioranza di governo, in tre giorni Meloni avrebbe potuto definire gli organismi dirigenti interni, eleggere i suoi organi di rappresentanza in Parlamento, avere l’incarico dal Presidente della Repubblica e presentare in ventiquattr’ore il nuovo Governo. Sarebbe stato un gesto corrispondente al superamento di una legge elettorale balorda. Almeno si poteva dire di lei che in tre-quattro giorni aveva saputo eleggere gli organi per l’efficienza del Parlamento e gli organi di Governo del Paese. Invece no. Il “lord protettore” le ha detto che il 20 di ottobre alla riunione dei capi di Governo dell’Unione Europea va lui. E che la campanella passerà di mano alla fine di ottobre. E la Meloni non ha risposto con l’orgoglio di una maggioranza indicata dal voto popolare, sia pure con una legge balorda, e insediata in Parlamento, col dire: no il 20 ci sarà probabilmente il nuovo Governo e a quella riunione ci sarò io che di quel Governo sarò la premier.

Quando fa riferimento al “lord protettore” della premier in pectore, il suo nome e cognome è Mario Draghi.
Mario Draghi adesso ma chi per lui domani. Un “lord protettore” che guiderà la destra italiana a stare nel solco del conservatorismo parassitario europeo ci sarà comunque. È la funzione che conta non il nome di chi sarà chiamato ad esercitarla. Noi siamo sotto protettorato. Oggi il “lord protettore” più credibile sul piano internazionale e più disponibile per il momento è Draghi. E probabilmente lo sarà. Sicuramente per il primo semestre di questo Governo.

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